Autrice vincitrice del Trofeo Donna con l’opera «Ci troveremo là» Monica Ambrosi di Castelnuovo (Verona).
Monica Ambrosi
Ci troveremo
dove ci siamo lasciati.
Non saranno parole.
Sarà tutto come allora.
Come la carezza
della primavera,
che torna,
promessa sincera,
di un pomeriggio
del freddo inverno.
Fino ad allora ci incontreremo
nei fantasmi
di chi ci somiglia
nei simulacri
che ci siamo donati.
Non conosciamo il giorno
né l’ora, solo avvertiamo
il sangue nelle vene.
Nulla lo trattiene.
Né spazio, né tempo
né silenzio.
Ci troveremo là
dove ci incontrammo,
senza sapere,
fino in fondo,
che una parte di noi
non sarebbe tornata indietro mai,
malgrado quello che ci giurammo.
Opera 1^ classificata: «Quest’ultima stagione» di Giovani Caso
Quest’ultima stagione
Il tempo spezza petali di luce,
anch’io mi sento in corsa con la vita,
quel pendolo che oscilla vorticoso,
so bene quanto è oscuro l’infinito
che scivola nel cosmo. Il corpo è come
l’obelisco scavato dalla pioggia
fin nel profondo, con la storia incisa.
E tutto si dissolve d’ogni evento,
tutto dei viaggi, tra ritorni e addii.
Pietra di solitudine è il silenzio.
Non so di quante aurore abbia bisogno
il mio sguardo senile, anche oggi avrò
nuvole da afferrare, scriverò
con un dito di vino i miei pensieri,
il sognare d’un verso, a cui m’aggrappo
per tenermi al sussurro delle cose,
coriandoli di sogni. In certi giorni
lo spirito raddrizza ogni sentiero,
calice capovolto è la gioiosa
azzurrità del cielo.
Dove sono
i giochi dell’infanzia, quel selvaggio
profumo di mirtilli sulle labbra?
Lungo il viale calpesto sassi e foglie,
m’inoltro tra le palpebre del vento,
cammino col mio zaino di ricordi.
E sono sempre qui, soffio di niente
nel disadorno fiato di quest’ultima
stagione di fatiche. E innesto ancora
parole, perché mettano germogli.
Opera 2^ classificata: «La vita» di Nicola Botter, Casier (Treviso)
La vita
Ora c’è solo il silenzio
dello struggente librarsi dei gabbiani,
sul limitare dell’ignoto
resta solo il loro vagare
fra gli approdi scivolosi di scogliera.
Sono le onde
che sovrastano d’azzurro
la mente, persa, a navigare:
la vita dopo tutto
è molto più che uno sbattere d’ali,
là, dove ogni dolore si cementa
ed ogni peso si inabissa:
è l’infinito desiderio
di un bacio
che mi precipita
in ciò che più mi assomiglia e bramo,
è l’anima,
un po’ sporca e un po’ viva,
la sua fame ed il suo nutrimento,
è l’incognita di un’onda
l’intonazione che, a volte, manca.
Come un filo di lapis su nuvole d’acqua
è il destino che mi sfiora in lontananza:
carapaci, sono le parole, sulla sabbia.
Opera 3^ classificata: «Casa mia, ritorno al paese» di Bruno Coveli, Villalagarina (Trento).
Casa mia (ritorno al paese)
Da secoli che sembrano ieri
passeri incantati d’amore
gonfiano di paglie e piume
tetti dai coppi ormai fradici di tempo e di sole
rincorrendo avare stagioni.
Nel vuoto assoluto del meriggio assolato
gocciolante di sudore antico
fontane mute giacciono vuote all’angolo della via
ove polvere sottile
mossa per brevi istanti da giri di brezza
incrosta volti
quali maschere antiche
cariche di passato remoto.
Disperato cerco allora sfogo
alla paura di solitudini affioranti
nella sarabanda dei pensieri
e vado ad incontrare un suono di voce umana
mentre nei dintorni si manifesta il nulla
concretizzandosi nel frinire d’una cicala
appena giunta sul muro.
Eppure lì al paese dove adesso vago
mura di calce e sassi nascondono il mio pianto bambino
e mi pare di udire dalla finestra aperta sulla valle
accarezzata dal fico
la voce dolce di mia madre che chiama il mio nome
e sorrido mentre arrivo alle scale di pietra
di casa mia che profuma dell’odore degli avi
rimasto nel tempo ad aleggiare tra spine di melograni
ebbri di fiori scarlatti.
Chiudo gli occhi e vivo
per lunghissimi istanti
il film delle mie disperate illusioni
e giro la guancia in attesa
di un’ improbabile carezza.
Opera 4^ classificata: «Irripetibili trasparenze» di Francesco Pasqual, Ostia (Roma)
Irripetibili trasparenze
È così che t’appartiene quest’amore.
Un tocco fugace,
– una pennellata aspra e tagliente –
quegli occhi azzurri, impenetrabili,
gettati con veemenza
sul dolce inganno del mondo.
L’eterna luce non muore in quel che vediamo…
L’intrecciarsi di verticali promesse
è il tuo essere dov’entra l’amore
qualora tu fossi, ancora,
il cristallo per la nostra nascita futura;
«Sempre e per Sempre»
la favola prossima per chi ti ama.
Senza nulla capire
sarà il tempo dei ritorni…
Esiste una ragione a tutto questo.
Un raggio d’argento si stacca dall’orizzonte.
Le note vibrano trasportate dal vento.
Le stelle sanno il profumo degl’incontri.
L’onda e il bacio scrosciano nel buio;
e le lacrime,
e lacrime rompono il silenzio della voce,
e quel dolore passato
che piange nel presente, ora
si fa carne viva e nuda per la tua venuta.
Il tempo: un fuggevole cenno del vivere.
É un’unica scrittura l’infanzia,
un fluire di tinte sempre nuove,
– irripetibili trasparenze –
da dover stringere a lungo tra di noi.
Lentamente,
ci guarderemo ci ascolteremo ci baceremo
e saremo salvi…
Opera 5^ classificata: «Interiorità» di Rosanna Spina, Venturina Terme (Livorno)
Interiorità
Quando ho sguardi di nebbia,
la poesia resta in me
come gli occhi d’un cieco
che non sa più dov’è;
ma se scruto il mio dentro
per guardarle attraverso,
mi rivela orizzonti
fino a farmi universo.
Opera 6^ classificata: «Una nonna e le sue vite» di Francesca Danese, Trieste
Una nonna e le sue vite
Quel cavallino a dondolo
che cullava le tue risate
nella sua sella gialla
mentre la tua manina
attorcigliava le redini;
scalciavi allegri i piedini.
Questo cavallino a dondolo
ora immobile sul legno scuro
cigola a volte nelle serate
di vento, quando turbina
l’aria dal balcone spalancato,
forse solo una svista.
Mi addormento nel silenzio,
mi svegliano a volte i pensieri
o lo scoppiettio di una moto
esuberante; lontane le lacrime
della mia bambina che chiama
e, canticchiandole, dorme.
Mi addormento nell’attesa
di nuove chiamate e risate
e cavalcate lungo i corridoi
di case e di vite, tue e mie
e di chi incontrerai, chissà;
quanto vale, un chissà.
Mi sveglio nella gioia
di una nonna dagli occhi
cerchiati da rughe sottili
per i tanti sorrisi a voi,
a voi bambini, come te;
mi addormento sognandovi.
Opera 7^ classificata: «Il rifugio di Eveline» di Andrea Camillo Giorgio Nata, Cuneo.
Il rifugio di Eveline
Su di un graffio di terra,
ripido tra pascoli verdi
e bianche macchie di greggi,
si saliva al rifugio di pietra.
Nel cuore d’ogni mia estate,
lo percorrevo di fretta con i miei genitori,
lontano dai pensieri di scuola.
A fermarmi il fiato corto, e lo sguardo rivolto
al pallone che scappava in discesa.
Il mio zaino pesava,
di sogni e di giochi scelti con cura,
su lunghe bretelle cascanti,
che le mani riportavano in spalla.
In cima al sentiero, Eveline mi aspettava agitata,
su due gambette piantate in scarponi giganti,
gli occhi socchiusi, fuggiti dalla luce abbagliante,
e sul viso dei biondi capelli impazziti.
Mi parlava di animali e di fiori,
mi confidava i segreti delle sue montagne,
senza chiedere quali io mi portassi nel cuore.
Ed ogni sera, ripiegavamo i nostri desideri,
dentro biglietti di carta nelle tane delle marmotte,
per cercarli l’indomani.
Eveline m’insegnava
che se non li avessimo più ritrovati,
si sarebbero avverati.
Sono passati trent’anni da allora,
la mulattiera sale ancora, alle stelle,
come una cerniera chiusa a scaldare i pendii,
e del rifugio non resta che pietre impilate,
ruderi nel tempo, che tagliano il vento.
Ma Eveline, oggi, è una donna sposata,
porta due bimbi a scuola ogni giorno,
mi saluta con un cenno di mano, poi fugge,
una borsa di documenti a tracolla,
parlando nervosa al telefono,
sale di fretta sull’auto
lasciata in doppia fila.
Opera 8^ classificata: «Vermiglio» di Luca Paglia, Monselice (Padova)
Vermiglio
«Dio è morto!»
Unto di Sangue,
tra le macerie,
col ventre gonfio.
Innocente.
La Madre straziata
raggrinzisce.
Il Padre, sudicio, striscia
nella trincea. Prende la mira,
spara, uccide i Fratelli.
Abbraccia il fucile, accanto
la Morte, sua Amica, gli sorride.
Il Vecchio sdentato ricorda:
Antiche Leggende,
Sabbie Dorate, Palmira.
Avvolge l’Innocente
con drappi Damaschi.
Bacia le sue mani,
né riconosce il Volto.
Nell’Oscurità, urla inconsolabile:
«È morto!
Dio è morto!»
Sbiadiscono le Stelle,
il Cielo notturno: Vermiglio.
Opera 9^ classificata: «Amore sconfitto» di Maria Teresa Pannunzio, Pisa
Amore sconfitto
Il primo schiaffo ti lascia
stordita, ti tocchi la faccia
con le dita.
La sua violenza è una
dichiarazione di impotenza.
Poi arrivano le lacrime e le
scuse, le tue.
Non c’è il perdono, la rabbia
esplode con il fragore di
un tuono.
È un attimo che dura un
secolo, amore figlio di un dio
malevolo.
Amore tradito, sconfitto, finito.
Cala il sipario, ultima pagina
di questo diario.
Opera 10^ classificata: «L’inconsistenza del tempo» di Maria Cecchinato, Fogliano Redipuglia (Go)
L’inconsistenza del tempo
Non porsi domande, non cercare certezze,
beata incoscienza di lasciarsi cullare
nell’azzurro cobalto sotto il nitore del cielo,
guizzanti riflessi, armoniose carezze
di fili dorati in cui annegare.
Fugge l’anima, libera di vagare
oltre la paura dell’ignoto,
plana verso acque profonde,
gioca a perdersi tra le onde
nel blu oltremare di una striscia d’orizzonte,
si tuffa nel vortice di una spirale
scintillante al sole,
senza rimorsi, senza rimpianti,
senza parole.
Avvolte da foschia passeggera
sfumano in lontananza le isole e la costa,
profili evanescenti di monti,
ponti ai ricordi, terra straniera,
e s’indovina appena
un bianco villaggio che resta
sospeso nel nulla, leggera visione
riaffiorante al cambiare del vento.
Respiro l’inconsistenza
del tempo.
All’improvviso un rombo sorvola
il mio brusco ritorno al presente
spezzando l’incanto
e mi fa riaffondare
i piedi nelle onde di sabbia
modellate dal mare.